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Ho appena avuto un'idea fantastica che diventerà una startup miliardaria. O forse no. Questi sono i 10 errori principali che quasi tutti i founders prima o poi commettono.

Tempo di lettura: 3 min

Da anni con Peekaboo aiutiamo le persone a realizzare un’idea imprenditoriale in ambito startup. Il nostro lavoro consiste inizialmente nel eliminare i paradigmi che impediscono di portare al successo le proprie idee. Ecco alcuni esempi.

Ho un’idea vincente, mi servono investitori

Di solito l’entusiasmo delle persone che si rivolgono a noi è talmente grande, che pensano che la differenza tra loro e Mark Zuckenberg sia solo nei soldi che non si riescono a trovare.

Non c’è niente di più sbagliato di andare da un investitore prima di aver validato la propria idea, ovvero aver ottenuto delle metriche che dimostrino che quell’idea funzioni.

Qual è il tuo business model? Come ti differenzi dai tuoi competitor? Quanto vale e quanto sta crescendo il mercato? Quali sono le tue metriche e quanto stai crescendo?

Queste sono alcune tra le domande che sono soliti fare gli investitori. Andare da loro senza le risposte, vuol dire sottoporsi ad una figuraccia oltre che a bruciarsi un utile contatto.

Prima di raccontarti l’idea devo farti firmare un NDA

Le prime volte che abbiamo un’idea, ci sembra che questa sia geniale. Ignoriamo che nel caso migliore ci saranno decine di persone sparse nel mondo che stanno realizzando la stessa cosa.

Chiedere di firmare un NDA (Accordo di riservatezza) quando abbiamo solo un’idea è una perdita di tempo, oltre che inutile.

Le idee non si possono proteggere. I brevetti si, ma già sono molto più avanzati di un’idea.

L’unico modo per proteggere un’idea è di realizzarla prima e meglio degli altri. Se abbiamo paura di farlo, non saremo mai bravi imprenditori. Non è mai successo in anni di esperienza che qualcuno cominci a sviluppare un’idea ascoltandola da un altro.

Quello che succede nel momento in cui si condivide un’idea è che si ricevono feedback, o se piace così tanto la persona a cui ne parliamo vorrà aiutare a farla crescere.

Insomma, l’unico modo per evitare che un’idea cresca è proprio quella di mantenersela per se senza raccontarla a nessuno.

Voglio fare un’app…

Quando ci viene un’idea, pensiamo subito a realizzare un’app come se fosse una cosa innovativa. Il ragionamento che facciamo è più o meno questo:

  1. Utilizziamo le app tutti i giorni;
  2. Tutti hanno uno smartphone;
  3. Quindi se realizzo un’app utile la utilizzeranno tutti e diventerò ricco!

 

A+B+C=$$$$

Sembra semplicissimo. Eppure oggi i principali investimenti si concentrano su altre tecnologie, come Intelligenza Artificiale e Virtual Reality.

In verità le app sono oggi un mercato maturo. Sono più le app che vengono disinstallate, di quelle installate ogni giorno.

Ciò non vuol dire che realizzare un’app sia inutile o sbagliato, ma è fondamentale conoscere e sperimentare le nuove tecnologie per integrarle in nuovi modelli di business ed essere più appeal nei confronti degli investitori.

Ad oggi che io sappia non esiste una cosa così sul mercato

Tutte le volte che sento questa frase, mi diverto a smentire questa convinzione cercando su Google prodotti e servizi che fanno esattamente la stessa cosa. Capita sempre di trovare qualcosa che fa esattamente la stessa cosa. Quando succede, è perché l’idea non ha senso.

In un mondo di sette miliardi di persone, è impensabile credere di essere stati i primi geni illuminati ad avere un’idea che cambierà il mondo.

Trovare dei competitor non è una cosa negativa, anzi. Ci dimostra che quello che vogliamo fare ha senso.

Analizzando i competitor potremo imparare e prendere spunto da loro, che stanno in quel business da tanto tempo ed hanno trovato soluzioni a problemi che dovremmo affrontare.

Studiare i competitor è anche essenziale per capire cosa ci differenzia da loro, qual è il vantaggio competitivo che ci rende unici.

Ho già definito tutte le funzionalità, mi serve solo qualcuno che me la sviluppi

Mettersi a testa bassa a sviluppare il prodotto quando abbiamo solo un’idea è sbagliato. Ci porta a spendere tanto tempo per definire una soluzione che è basata solo sulle nostre ipotesi e convinzioni, e non su quelle del mercato.

Ma le statistiche ci dicono che il 90% delle startup fallisce proprio perché si sviluppa qualcosa che non incontra le esigenze del mercato, ovvero che nessuno è disposto a comprare.

Per questo sono fondamentali le fasi di Customer Discovery e Solution Validation, che consentono di capire se il problema esiste e se la soluzione è di interesse per il nostro target, prima ancora di avere un prodotto da vendere.

Ne ho parlato in giro e sono tutti entusiasti

Raccontare la propria idea alla mamma, alla fidanzata o all’amico del cuore non è un test di mercato. Sono persone che ci conoscono bene e che non ci darebbero mai un parere oggettivo.

Bisogna identificare un target specifico di clienti e chiedere a loro, se sussiste il problema, come lo risolvono ad oggi e quanto sarebbero disposti a pagare per la nostra soluzione. Eh si, proprio così.

Non avremo veramente validato una soluzione fino a quando non avremo trovato i primi clienti disposti a pagare per il nostro servizio.

Anche quando quel prodotto/servizio non è ancora disponibile sul mercato. Non ci credete?

Pensate allora a tutti quei nuovi prodotti/servizi che raccolgono investimenti su Kickstarter o sulle altre piattaforme di crowdfunding o alla Tesla di Elon Musk che ha venduto migliaia di Model 3 in preordine raccogliendo circa 8 miliardi di dollari grazie ad un evento di presentazione.

Non c’è niente che convinca di più un investitore a darci i soldi del fatturato. Ahimè, anche nel mondo startup questa rimane sempre la metrica chiave di un’azienda.

Sono sicuro che il problema esiste perché mi è capitato

Sicuramente avere esperienza in un dato settore ci dà dei punti in più se vogliamo intraprendere una startup in quella specifica industry.

Abbiamo esperienza, conosciamo il mercato e sappiamo quali possono essere i principali problemi da risolvere. Cominciare a dare una soluzione a questi problemi rappresenta l’inizio dello sviluppo di una potenziale startup. Ma questo è ben diverso dal voler sviluppare startup per risolvere problemi che ho vissuto nel quotidiano.

Diciamo così: aver riscontrato un problema è una condizione necessaria ma non sufficiente a sviluppare una startup per risolvere quel problema stesso. Dobbiamo capire se quel problema è solo mio o se è condiviso da più soggetti, se il target sarebbe disposto a pagare per risolvere il problema etc..

Il target sono uomini e donne dai 20 ai 60 anni

Risolvere un problema di tutti vuol dire non risolvere un problema a nessuno.

In un mondo sempre più evoluto, è impossibile che una soluzione soddisfi un target che comprenda “uomini e donne dai 20 ai 60 anni”.

Inizialmente, la probabilità di successo di una startup dipende dalla capacità dei suoi founder di fare delle scelte specifiche, che vadano a individuare delle nicchie.

Non c’è niente di meglio di trovare una nicchia anche molto piccola, ma che è disperata perché non riesce a trovare la soluzione ad un grande problema. Queste persone sono i nostri Early Adopters, ovvero quel target di clienti che adotterà la soluzione iniziale, anche se non perfetta e che ci darà feedback gratuiti molto preziosi per migliorarla.

Gli Early Adopters sono un tesoro per le startup, in seguito espanderemo la nostra soluzioni ad altre nicchie di clienti, facendola crescere ancora di più. Think big, start small. E’ questo il mantra da seguire.

Il mio team è completo, siamo amici da anni

Essere amici è bello, ma anche pericoloso quando parliamo di startup, che di fatto è un’azienda. Fare startup è come sposarsi con gli altri co-founders, bisogna avere la maturità per gestire i molteplici momenti di crisi che si avvicenderanno. Vige il detto “patti chiari e amicizia lunga”.

Per quanto possa sembrare brutto, bisogna definire tutto dall’inizio e accordarsi su quote, percentuali, etc.. In Silicon Valley è comune la pratica del vesting, per cui i co-founder acquisiscono le quote di una startup proporzionalmente al tempo in cui ci lavorano.

Ciò per evitare che uno dei founder possa andarsene dalla startup conseguendo comunque le quote e un giorno possa beneficiare dell’exit ottenuta grazie al lavoro degli altri.

Non basta essere affiatati, è importante soprattutto avere competenze diverse necessarie a portare avanti le diverse aree di una startup e dimostrare agli investitori che si è in grado di farla crescere.

Voglio realizzare qualcosa di mio

Fare startup è faticoso. Si lavora tutto il giorno, tutti i giorni ed il fallimento è sempre dietro l’angolo.

Paul Graham, fondatore di Y Combinator, afferma che se c’è un film famoso di cui i suoi amici parlano e che lui non conosce, quasi sicuramente è uscito nel periodo che va dal 1995 al 1998, quando lui era impegnato tutto il giorno solo a far crescere la sua startup, in seguito venduta a Yahoo per oltre 50 milioni di dollari.

Non è un mestiere per ansiosi o deboli di cuore.

Nonostante ciò, fare startup è entusiasmante e appassionante. Perché ci permette di provare a realizzare i nostri sogni, e di fare di una passione il proprio lavoro. Come diciamo sempre in Peekaboo: è più divertente lavorare per far crescere una tua idea che lavorare per far crescere le idee degli altri.

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